Alcuni anni fa era diventato famoso il claim di un noto brand di dentifrici che ricordava che “prevenire è meglio che curare”. Questa raccomandazione non vale solo in ambito medico ma anche per quanto concerne la cura del patrimonio culturale e quindi la promozione di pratiche di monitoraggio e manutenzione programmate e costanti in modo da evitare il ricorso a interventi di restauro, spesso lunghi e costosi.
Nel processo di cura e manutenzione di un bene, però, per prima cosa è importante ricordare il ruolo giocato dall’informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento - non solo di funzionari, amministratori pubblici e addetti ai lavori - ma anche dei giovani e delle comunità locali, in modo da favorirne la tutela e la conservazione nel tempo. È infatti partendo dalla conoscenza del patrimonio culturale, della sua storia e del suo portato identitario che è possibile riconoscerne il valore e attivarsi per la sua tutela e conservazione in modo da poterlo trasmettere alle generazioni future.
Poi, oltre a riconoscere l’importanza di promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e iniziative di sensibilizzazione e coinvolgimento attivo degli stakeholder che fanno parte dell’ecosistema in cui si trova un bene culturale - “conoscere per prendersi cura del proprio patrimonio” - risulta fondamentale incentivare pratiche costanti di prevenzione e nel dettaglio di “conservazione preventiva e programmata” articolate in più attività volte a preservare non solo la conservazione fisica del bene ma anche il suo valore identitario.
La conservazione programmata, infatti, rappresenta una strategia di medio-lungo periodo che attraverso l’integrazione tra azioni preventive, controlli e manutenzione e la redazione di un piano specifico (piano di conservazione programmata) consente di definire: 1) azioni preventive in grado di limitare i fenomeni di degrado e la loro diffusione, in modo da mantenere in buono stato di conservazione il bene e 2) controlli periodici per registrare in tempo la comparsa di anomalie, valutare l’efficacia degli interventi realizzati e le condizioni ambientali che incidono sul bene e testare l’efficienza, la funzionalità e lo stato di conservazione dei singoli elementi tecnologici; il tutto per impedire la propagazione e l’aggravarsi di danni e, se possibile, impedirne la comparsa.
Attività di controllo e manutenzione pianificate e costanti, quindi, consentono di intercettare per tempo la comparsa di fenomeni di degrado e di evitare interventi di restauro spesso troppo onerosi per i Comuni, soprattutto quelli più piccoli.
Per cui investire nella conoscenza del patrimonio - sia da parte delle comunità locali sia in termini di diagnostica - e nella conservazione e riqualificazione assume un ruolo strategico su più fronti e nel dettaglio:
- accresce la conoscenza, consapevolezza e sensibilizzazione verso il patrimonio trasformando le comunità locali in parte attiva del processo di tutela, conservazione e valorizzazione;
- accresce le opportunità di lavoro legate al patrimonio culturale;
- consente di tutelare un bene evitandone non solo la scomparsa fisica ma anche della storia e dei valori che racchiude e quindi degli elementi identitari di una determinata comunità;
- favorisce la definizione di iniziative di valorizzazione del patrimonio culturale in grado di accrescere l’offerta locale e di incentivare il turismo culturale;
- promuove nuove modalità di fruizione del territorio in grado di innescare processi endogeni di sviluppo e nuove economie legate alla cultura e alle risorse locali.
Alcuni esempi di questo approccio sono offerti dal progetto “Recupero strutturale Cappelle e completamento restauro della Confraternita di Santa Marta” promosso dal Comune di Bannio Anzino e dal progetto “Recupero funzionale del Museo della Montagna e del Contrabbando” promosso dal Comune di Macugnaga, entrambi ammessi a finanziamento dal Bando SOS Patrimonio, edizione 2023, di Fondazione Cariplo.